Recensioni

 

Il Primo Progetto - L’arte del vetro a Sansepolcro

Sansepolcro, Giugno 2012
Nell’anno del Millenario della nostra città saluto con viva soddisfazione la prima edizione della biennale d’arte del vetro contemporaneo DiVetro, fortemente voluta da Antonella Farsetti e Valter Lazzerini e frutto della loro ventennale esperienza in questo settore.
L’arte del vetro non è una tradizione storica della nostra città ma si è andata affermando grazie alla presenza del Museo della vetrata antica, in cui è conservata, tra l’altro, la bellissima Ultima Cena delle sorelle Caselli, e che ha fatto conoscere ai nostri concittadini il fascino di un’arte antichissima e le potenzialità di questo materiale fragile e affascinante.
L’attività laboratoriale che è alla base di questa biennale unisce il momento didattico e formativo a quello artistico-espositivo con la presenza di importanti artisti contemporanei che con le loro opere testimonieranno la versatilità di questo materiale.
Così come particolarmente positiva mi sembra la scelta di svolgere la biennale, oltre che nelle sedi espositive di Palazzo Inghirami e Palazzo Pretorio, nelle vetrine dei negozi del centro storico , che si trasformerà così in uno spazio espositivo naturale, per dare visibilità alle opere realizzate durante i laboratori.
Il dialogo infine tra l ‘arte del vetro, la fotografia e l’artigianato orafo, conferma la vitalità dell’espressione artistica che non smette mai di sperimentare nuovi linguaggi, basati sulla contaminazione tra generi e sulla costante ricerca.

Daniela Frullani
Sindaco di Sansepolcro

Arte, cultura ed emozione nella prima biennale d’arte del vetro contemporaneo.

Vi sono alcuni binomi che, sovente, si rivelano vincenti pur nella loro apparente semplicità: si pensi, ad esempio, alla vexata quaestio della presunta superiorità dell’arte rispetto all’artigianato, quando invece le basi per risolverla erano tutte nelle geniali intuizioni di William Morris – per limitarci, naturalmente, ad un nome carismatico – che, nel secolo XIX, si batté per la loro pari dignità (o meglio, per la pari dignità dell’artigianato rispetto all’arte), indicando la via di una loro fruttuosa convivenza. Le graduatorie fra le espressioni dell’ingegno umano che in passato hanno occupato la mente di tanti intellettuali (si pensi alla comunque interessantissima riflessione di Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte, ovvero sui limiti della pittura e della poesia, del 1766), credo debbano lasciare sempre più il posto non a classifiche che stabiliscano primati (che si lasceranno più propriamente allo sport), ma al dialogo sempre più vivo fra le diverse espressioni dello spirito, giacché sono queste ultime ad essere davvero importanti a prescindere dai loro gradi di presunta nobiltà.


Altro binomio significativo, in apparente contraddizione con quanto appena affermato, è la relazione tra un determinato territorio e i grandi nomi che ne hanno illustrato la storia: Sansepolcro, dove si organizza DiVetro, prima biennale d’arte del vetro contemporaneo che questo testo intende introdurre, può naturalmente giovarsi della presenza ancora assai viva di un artista eccezionale, amato da chiunque riconosca nella pittura una forma di alto sentire, Piero della Francesca. Ma se questo gigante dell’arte rappresenta certamente un genius loci, tutta l’Alta Val Tiberina ne ha sentito e ne sente tuttora la luce, che finisce con il riverberarsi in ogni sua manifestazione estetico-artistica: Piero, cioè, non è (o non è solo) il frutto isolato di una grande mente, è il figlio geniale di una terra che, anche e forse soprattutto grazie al suo influsso spirituale, si è fatta portatrice di cultura nelle forme talvolta umili, ma non meno significative (al contrario, di alto valore), di come sono distribuiti i campi coltivati nelle campagne, di come si assemblano i muri cittadini in pietra serena, di come si dà vita ad oggetti di antica sapienza artigianale.


L’iniziativa che qui si presenta, promossa con grande entusiasmo da un’artista del vetro come Antonella Farsetti, si situa proprio in questo particolare ambito culturale: Sansepolcro, pur non avendo una specifica tradizione artigiana della vetrata, possiede però un delizioso Museo, di recente apertura, dedicato (con pezzi di assoluto valore) alla storia e alla documentazione di questa affascinante tecnica. Pur avendo iniziato a praticare l’arte del vetro ben prima dell’apertura del Museo e continuando negli anni ad affinare le proprie conoscenze operative guidata da una notevole propensione sperimentale, la Farsetti ha maturato l’idea di questa prima biennale del vetro proprio in questi ultimi mesi, magari anche grazie all’esistenza stessa a Sansepolcro della struttura museale appena ricordata: quella che però è certa è la volontà dell’artista – avvezza da tempo a tenere corsi di avviamento alla pratica artistica del vetro con seguitissimi laboratori – di presentare in una rassegna alcuni lavori prodotti dai suoi allievi.

In questa attività di Antonella Farsetti si possono riconoscere almeno due aspetti qualificanti, la volontà di trasmissione culturale che vada oltre gli antichi segreti artigianali per diffondere procedimenti tecnico-creativi che un domani potrebbero rischiare di scomparire, e il desiderio di condivisione di una ricerca segnica fortemente animata da una tensione creativa e da una sperimentazione tecnico-formale davvero senza preclusioni.
Ma accanto a questa fondamentale componente di DiVetro, c’è un ulteriore importantissimo aspetto che dà all’iniziativa una caratura molto significativa, l’apertura di questa prima biennale biturgense del vetro, oltreché alla stessa Antonella Farsetti, anche a tre artisti di chiara fama, che hanno accettato di misurarsi – guidati anche dalle specifiche competenze laboratoriali della magistra vitraria toscana – con la tecnica del vetro, da loro assolutamente non sperimentata in precedenza.

Questi tre artisti che di buon grado hanno deciso di esporre i loro lavori accanto alle opere di Antonella e dei suoi corsisti, a suggello di quella unità spirituale tra arte e artigianato di cui si parlava all’inizio, sono Tommaso Cascella, Bruno Ceccobelli e Dominique Landucci.
La proposta di Tommaso Cascella nasce principalmente dalla sua spiccata predilezione per la contaminazione tra ampie superfici cariche di colore (o, come in questo caso, trasparenti, sfruttando appieno la qualità del vetro) e segni minimi, simili ad alfabeti primordiali che vanno intrecciandosi tra loro, nell’intera texture dei lavori e, quel che più conta, nella densa emozione di chi entra in contatto con le opere presentate dall’artista.

Talvolta affiorano piccoli volti stilizzati quasi intenti alla ricerca di dialogo con il senso di fascinoso mistero proprio dei segni minimi appena evocati. Cascella, com’è ben noto a chi lo segue, ama da sempre misurarsi con i materiali e i linguaggi più diversi (dalla scultura, alla pittura, alla ceramica e altro), ma è per la prima volta qui a Sansepolcro, come detto, che ha provato a confrontarsi con il vetro, rafforzando quella sapienza alchemica che è un’altra delle sue fondamentali componenti di ispirazione poetica: la trasformazione di materie per così dire umili e vili nello splendore nobile di segni artistici in cui emergono, tra le altre, tinte come l’oro e il rosso, il bianco e il nero, si deve a questa volontà dell’artista di proporre una rarefazione spirituale del tutto in sintonia con la magica cangianza e trasparenza del vetro.


Bruno Ceccobelli, non da ora, è l’appassionato propugnatore di una poetica tesa alla diffusione di un valore apparentemente impalpabile, la spiritualità, in realtà decisivo per l’elevazione di ogni coscienza che desideri utilizzare questa nostra breve avventura terrena per qualcosa che tenti di avvicinarsi ai meccanismi più alti che ne governano il senso ultimo. Da questo punto di vista Ceccobelli è un artista interessantissimo che, pur partendo da una visione esoterica in apparenza iniziatica, cerca di suggerire, sovente riuscendoci con notevole efficacia, una empatia che può davvero rompere le barriere entro le quali, troppo spesso, ci rifugiamo senza poter comprendere il mistero salvifico che è nelle cose intorno a noi, forse addirittura in ogni nostro gesto quotidiano. Per DiVetro l’artista ha creato un’installazione ad hoc (Manifestazione trasparente) del tutto in linea con queste premesse generali a lui molto care: vari dischi di vetro (con la raffigurazione di mani) e di dischi/sculture (con la presenza di volti) sono collocati con una particolare attenzione alle loro reciproche relazioni visive ed iconiche, evocanti improvvise suggestioni e fini auscultazioni interiori.


Si è già avuto modo di dedicare un ampio cenno alla spiccata attitudine sperimentale di Antonella Farsetti, unica presenza femminile del gruppo di artisti e, soprattutto, unica avvezza da gran tempo alla fascinosa tecnica artistico-artigianale del vetro. L’esigenza di percorrere vie nuove e diverse non è, naturalmente, solo il risultato di una curiositas tesa ad esplorare tutte le potenzialità espressive e formali racchiuse in questo affascinante materiale, essa è piuttosto l’esito di una volontà di indagare spaziando tra culture artistiche di diversa estrazione: ne scaturisce un affascinante mix in cui il primitivismo dal sapore antropologico e primordiale di alcune ricerche (ho in mente, tra le altre, una serie ispirata al mito ellenico e universale degli Argonauti) si abbina all’attenzione verso la ricerca pienamente contemporanea. Ed ecco allora che nei variegati lavori di Antonella Farsetti si riusciranno a percepire, ad esempio, gli echi dei teatrini polimaterici di Fausto Melotti o l’utilizzo pensoso della Storia che emerge talora in Igor Mitoraj: ma in realtà è proprio il polimaterismo, con quella fascinosa propensione a unire al vetro gli elementi più diversi, ad essere la traiettoria nobile della Farsetti, un polimaterismo che, se antichissimo nella storia dell’arte, è stato la linea maestra di tanta grande produzione del Novecento, a cominciare almeno dalle Grandi Avanguardie.


Dominique Landucci, artista nato a Nizza da una famiglia di italiani immigrati e contraddistinto da una vita e da una poetica in continua evoluzione, sospesa, tra joie de vivre e inquietudine, si è espresso nella sua apprezzata carriera di pittore come un eminente colorista, una sorta di artista fauve mosso però più dalla forza intrinseca del segno che dalla volontà di tenere sotto controllo, come nella tradizione francese delle avanguardie da Matisse in poi, gli equilibri cromatici generali dell’opera. Ma la vera sfida di Landucci, in questa biennale biturgense, è stata quella di dimenticarsi, per quanto gli era possibile, della sua natura di artista innamorato del colore: ed è per questo che ha cercato, riuscendovi appieno, di far emergere le volumetrie del vetro, le sue gibbosità come le sue trasparenze, giocando in modi molto raffinati con le ombre che questa tecnica – come già detto, del tutto nuova per lui – gli poteva consentire. Ed è per tale via che l’artista italo-francese raggiunge quel gioco di parvenze, quasi di ispirazione platonica, che il vetro permette di conseguire: questo materiale, infatti, vela e rivela, svela e nasconde, in una continua dialettica tra realtà tangibile e intuizione dell’inafferrabile che, da sempre, appartiene alla vita come all’arte.